martedì 20 agosto 2019

Comunidade Trindade

Eccomi finalmente a riempire di nuovo le pagine del mio blog, è passato un pò di tempo dal mio ultimo post, ma era necessario che il tempo passasse, che la mia penna e il mio foglio fossero i mie occhi, le mie orecchie, il mio corpo e il mio silenzio per prendere appunti.
Sono a Salvador e sto vivendo nella Comunità Trinità che accoglie moradores de rua (persone di strada). Sono passata di qua per la prima volta nel 2016 e mi ha incantato, perché è un luogo che ti fa sentire a "casa", ti fa sentire accolta, ti fa capire, forse, che cosa è la vita e la forza nel rinascere. Scrivendo questo mi viene in mente la parola Resilienza e il suo straordinario valore nella pratica quotidiana, come capacità di superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà, come la Fenice che risorge dalle sue ceneri. Queste due immagini o comparazioni le associo a questa Comunità  perché è un luogo dove, veramente, si può tornare a vivere, risorgere, soprattutto per chi ha vissuto la strada, la violenza, la droga e la dipendenza dall'alcool. La Trindade nasce nel 2000 e si trova in un bairro vicino al porto e ad un viadotto dove si incontrano molti moradores de rua. La Casa è una chiesa non più attiva, abbandonata, incontrata da fratel Henrique, pellegrino francese, che durante le sue peregrinazioni per le strade di Salvador, la scelse come luogo dove posare il capo durante la notte. Quel luogo nel corso del tempo è diventato un luogo dove molti altri, poi, insieme a lui, posarono il capo per dormire e ripararsi dalla strada, diventando un rifugio, un cantino dove condividere le fatiche e un pezzetto di pane. 
Quel pane condiviso e distribuito è diventato comunità e casa per chi non ha una casa, creando, con la concessione della diocesi di Salvador, la Comunidade Trindade. 



Ora anch'io vivo in questa chiesa, con il mio cartone che si trasforma in un letto, che disciplinatamente apro la sera e riavvolgo al mattino, cercando un cantino dove posare il capo e dormire. In realtà ho già battezzato un pezzo di pavimento, che è diventata la mia stanza, perché è sempre lì che metto il mio cartone. Posso dire che come letto è molto pratico, apro e chiudo, senza doverlo rifare ogni volta. Fantastico!


il mio letto versione giorno
                                                                                     
il mio letto versione notte


                                                             





Attualmente la Comunità accoglie 35 persone, la maggior parte sono uomini. Per loro la comunità non è qualcosa di definitivo, ma un passaggio che permette di ricostruire la propria vita, dopo anni vissuti in condizioni di precarietà, brutalità, dipendenze da droga e alcool. Quando si vive per strada ci si abbassa ad un punto tale da non riconoscersi più, vivi di violenza ed espedienti per recuperare qualche soldo per poter mangiare e continuare le tue dipendenze chimiche e alcoliche, che portano ad abbruttirti sempre più. A volte chiedo "sussurrando a bassa voce" alle persone che vivono qui, di raccontarmi qualcosa del loro passato, molti si rifiutano, perché non vogliono ricordare quello che hanno vissuto, sono ferite aperte che hanno bisogno di tempo per cicatrizzarsi e conviverci. C'è chi prova vergogna a raccontare quello che ha fatto, come cercare cibo nei rifiuti, prostituirsi, usare violenza o subirla e tanta, tanta tristezza e solitudine. Si perde tutto nella strada non solo cose materiale. Ma le storie non sono raccontate solo attraverso le parole, che spesso si nascondono nei silenzi, ma anche attraversi i gesti, i corpi, i volti, tutto parla, bisogna solo imparare a leggere attraverso l'attenzione, la cura, la prossimità.

Ecco allora questa Chiesa che accoglie, questa casa che riparte dalle ceneri come la Fenice, per ricominciare a "volare", rimettersi in cammino per riacquistare dignità e valore.
Ognuno ha il suo ruolo, il suo lavoro da svolgere durante il giorno, la responsabilità del suo spazio e degli spazi condivisi. I lavori sono quelli quotidiani: dalla cucina, alla pulizia, al giardinaggio, al recupero del materiale di riciclaggio, all'artigianato. C'è anche chi ha un lavoro fuori che gli permette di  iniziare a cercare una casa e pagare un affitto.
 La Comunità ha fondato, anche, un giornale di strada, che con il tempo è diventata una rivista, scritta dai moradores de rua, che parla delle tematiche della strada, dei fatti che succedono nel paese, partendo da un punto di vista di chi viene emarginato (dare voce a chi non ha voce) e dell'importanza del riciclare, come cura dell'ambiente e come messaggio pedagogico. Molti lavori di artigianato che vengono eseguiti sono fatti con materiale di scarto (bottiglie di plastica, carta, ferro, ecc..) , da ciò che è scartato si possono costruire cose belle e utilizzabili. Tutto rinasce e prende vita, una nuova vita, così come con le persone: la pietra scartata è diventata testata d'angolo. 
Il giornale viene distribuito da alcuni ragazzi della comunità, che diventano a tutti gli effetti dei "venditori", hanno la loro divisa e durante il giorno vanno per strada o in alcune parrocchie per far conoscere AURORA DA RUA (titolo del giornale). Naturalmente ricevono un piccolo salario, anche questa è una fonte di reddito per loro e soprattutto è un modo per sensibilizzare l'opinione pubblica che essere moradores de rua, non significa essere una persona che non ha valore, un emarginato, un reietto, un vagabondo, come molti pensano. 
 Io ho scelto di vivere con loro e di condividere il mio cammino.
C'è molta differenza quando vieni alla Trinità come visitante (una settimana, un mese, due..) e come persona che sceglie di abitarci. Bisogna avere un buon spirito di adattamento, pazienza e flessibilità, che non ha una durata temporale (una settimana, un mese...), ma richiede un lavoro continuo. 
Bisogna imparare a farsi "piccoli" e umili, imparare a convivere con le "povertà" degli altri, scoprendo allo stesso tempo le tue "povertà". Imparare la delicatezza delle relazioni, senza essere invasivi e ingombranti, ma delicati e gentili, perché si entra in punta di piedi nelle storie delle persone. 
Imparare a saper aspettare e perdonare, ascoltare, non solo con l'orecchio fisiologico, ma anche con quello interiore, imparare a fare spazio e a servire. E non è facile, per niente. Bisogna saper cambiare pelle ogni volta e limare quelle ossa sporgenti che non si adattano al cambiamento, è un lavoro interiore importante e forte, che la missione ti insegna, come anche la Trinità 
vivendo e facendo Comunità, con persone che hanno un grosso carico di sofferenza, vulnerabilità, limitazioni e ...ricchezza. 
Bisogna saperci stare con i poveri, bisogna saperci stare con gli "ultimi", non perché sono ultimi nella vita, ma perché sono lasciati indietro da questa società. E' facile parlare del Prossimo da lontano, quando si è seduti comodamente sul proprio sofà. Quando, poi, lo incontriamo veramente, capita che ci spostiamo, perché puzza, perché è sporco, perché non capisce, però da lontano lo chiamiamo "poverino" e mettiamo in piedi chi sa quali battaglie sociali (utilissimi, comunque!), senza neanche conoscere il suo nome e sederci accanto! E' una provocazione la mia, si lo è, ma solo per creare riflessione e perché quando vivi dentro le cose, quando le tocchi e le prendi per mano, riesci a capirne il significato e la bellezza dello "sporcarsi"...e se anche "puzza", ci stai accanto!
 Essere prossimità, ma non per sfiorarsi, ma per "toccarsi" e qui alla Trinità impari a fare questo.
Per ora sto facendo di tutto, da aiutare in cucina, nelle pulizie, nei lavori che servono come per es. pulire le tegole del tetto di una casa che stanno costruendo per una donna accolta e il suo bambino, così come anche accompagnare in ospedale per una visita medica. Molte delle persone che sono accolte non riescono a spiegarsi davanti un medico, molti hanno un grado di istruzione molto bassa e rimangono con quel senso di vergogna e inferiorità verso gli altri. La scorsa settimana mi sono trovata a fare una fila chilometrica all'ospedale per i poveri "Irmã Dulce" che non finiva più, tanta era la gente in attesa! E' un ospedale gratuito. Ho accompagnato Lea, una signora che vive in Comunità da circa un anno.  Nel mio portoghese misturato con l'accento italiano, sono riuscita a descrivere al medico la situazione di Lea, che al contrario faceva fatica a spiegarsi, anzi non parlava proprio. 
Da parte sua il medico era incuriosito più dalla presenza un pò  anomala e simpatica del mio modo di parlare, che non della paziente. Ma ce l'abbiamo fatta: I'io, Lea e il medico !

Alcuni volti della Comunità:



Marcus 



Fernanda


Nora e Lazzaro


Fernando
Araujo
Luzia, Damiano, Edson, Ivaner


Clovis, Evanglenio, Altino. Fernanda


Henrique Junior


Hailee Selassie



.....e tanti altri che con le loro storie e cammini fanno parte di questa Comunità.

I ritmi qui sono molto diversi. La sveglia al mattino è sempre alle 6 e concludo alla sera, dopo la cena, con un momento di confronto e chiacchere con gli altri membri dell'equipe che fanno parte della Comunità: fratello Henrique, francese, padre João, belga, Juce, consacrata e Vania, volontaria, entrambe brasiliane, che hanno scelto di vivere qui, già ormai da una decina di anni. 
Il tempo per scrivere non è molto e devo ritagliarmi uno spazio dove poter raccogliere le idee e battere i tasti sul mio PC. 
La stanchezza e la lingua portoghese stanno prendendo sempre più spazio, con il rischio di trovarmi addormentata sulla tastiera e con il ripetermi "scriverò domani", ma domani c'è un'altra cosa da fare e poi un altra ancora...e con un italiano che compete con le parole portoghesi "come che si dice in italiano quella parola che non mi ricordo più???...o Meu Deus!!"

Siga seu caminho,
dê continuidade,
experiencie,
perceba e principalmente
acima de tudo, aprenda.
Segui il tuo cammino,
dai continuità,
esperienze,
percepisci, ma principalmente,
impara.




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