venerdì 13 settembre 2019

Porta aperta

Guardo questa chiesa, le sue finestre, le sue porte.
Sono sempre aperte, ci puoi vedere il cielo, le nuvole che passano, udire i suoni della strada, i rumori, i colori del giorno. Se fossero chiuse non si potrebbe godere di tutto questo, perdendo la possibilità della "scoperta"
E penso che dovremmo essere così anche noi: "aperti".
Invece ci chiudiamo nei nostri egoismi, nelle nostre paure, nei nostri difetti, nei nostri pregiudizi, nei nostri poteri, nelle nostre case, nelle nostre cose, nelle nostre vite, nei nostri raziocini.
La scelta della missione, dell'uscire fuori, è nata anche da questa esigenza, di imparare a saper aprire, aprirsi. Aprirsi agli altri, alle cose, alle novità, ai cambiamenti, alle idee, ai punti di vista, ad un altro modo di vivere, di pensare, di mangiare, di vestire, di pregare, di vedere la vita.
Aprirsi per incontrare, fare spazio e in questo spazio sedersi accanto agli altri e farsi prossimi.
Non è per niente facile, lo so.
È più facile chiudere che aprire, si fa meno fatica, è meno doloroso, è meno ingombrante.
Siamo pieni di così tanti ostacoli e ferite dentro di noi, che più proviamo ad aprire la porta del cuore e della mente, più andiamo alla ricerca di qualcosa che la possa chiudere di nuovo, magari con un collante ben forte.
Eppure se riuscissimo a farlo ci renderemmo conto di quanto ci aiuterebbe ad essere liberi e quanto ci farebbe bene e farebbe del bene. La mia non è una propaganda "hippy", anche se sono rimasta affezionata ad un stile di vita che ha influenzato la mia adolescenza, ma un credere veramente, attraverso l'esperienze che faccio e che ho fatto, che è così.
Perché se quella finestra della chiesa non fosse aperta io non vedrei lo splendore del giorno o ciò che lo arricchisce, così anche noi.
A piccoli passi, dialogando con i nostri limiti e le nostre difficoltà, si può arrivare a fare ciò, fino ad arrivare un giorno a buttare completamente la chiave di qualsiasi serratura .....penso in grande!

Ogni giorno qui è una palestra che mi porta ad allenarmi con tante diversità e in queste diversità io sono la minoranza. Sono la gringa (la straniera) come alcune persone della strada mi chiamano.

Questo mi porta a vivere sulla pelle come si è guardati e giudicati in maniera diversa dall'abituale. Ora sei tu che sei dalla parte opposta. E in un certo senso fa bene, perché capisci come una parte dell'umanità vive nello sentirsi dall'altra parte della barricata o meglio dall'altra parte del paese in cui ha vissuto. Essere stranieri in una terra straniera e in questo "stare" immedesimarsi nelle tante persone che valicano le frontiere.

In questa comunità mi sto sedendo accanto a tante storie diverse, che hanno come comune denominatore la strada e le sofferenze che ci sono dentro. Raccolgo nei dialoghi che vengono fuori tanti pensieri, a volte strani, a volte divertenti, a volte incomprensibili, a volte inquietanti, a volte dubbiosi, a volte commoventi. È un laboratorio di convivenza, dove bisogna saper camminare in punta di piedi, leggeri e delicati e farsi prossimi. Tutte queste diversità ti permettono di vedere con gli occhi degli altri la vita, ma è nell'ascolto che nasce la visione delle cose e l'ascolto fa sempre parte di quella prossimità che nasce dall'aprirsi. Bisogna avere pazienza e assenza di giudizio. Gran lavoro interiore!


Ho imparato ad avere cura del cartone (papelão) che uso per dormire per terra e di come questo mi porta a guardare con attenzione ogni cartone che incontro per strada, perché so che è un letto per qualcuno. E non accetto più che si usi la parola vagabondo, per nominarlo, ma "fratello". Ogni persona  ha un suo cammino e ha il diritto di essere ascoltata e di raccontare la propria storia.

Ho imparato ad avere curiosità nell'ascoltare queste storie, che permettono di ampliare lo sguardo sulla vita. Trovo triste quando si perde la curiosità per le persone, che non è una curiosità morbosa, ma un interessamento che mi porta verso l'altro.

La Comunità ti porta ad una flessibilità mentale e ad accettare cose che prima "giudicavi".

Riesci a convivere con modi grossi, a volte grezzi, poco educati e in ambienti che di primo acchito ti sembrano poco puliti o privi di eleganza, ma che presto ti diventano familiari e comprensibili.
Chi ha vissuto per strada per tanti anni, già da bambino, ha un modo di fare duro e sulla difensiva, ma dietro a quel modo, come mi ha spiegato Altair, che di anni se n'è fatti tanti per la strada, si nasconde un cuore di manteiga (burro). Un cuore ferito, vulnerabile e alla ricerca di tenerezza.
Non ti impressiona più il tono rude della voce o la risata che sembra uscire fuori dal corpo con potenza ed energia (esci da questo corpo....viene in mente come battuta!!!) o tante altre modalità che non appartengono al galateo, ma appartengono ai quei nomi e volti che inizi a conoscere, a voler bene e a capire, soprattutto. 

La vita è una continua scoperta, ma solo se permettiamo di  lasciare aperta quella porta o finestra dove poter guardare tutto ciò che passa e cogliere il bello e capire il brutto.


Ho imparato a fare il pane, ho imparato a levigare il legno per le icone, ho imparato a fare le candele, ho imparato a medicare le ferite e a controllare i valori dell'insulina di chi ha il diabete, ho imparato a preparare i fiori per le celebrazioni, ho imparato a riconoscere i passi delle persone, ognuno con un suo ritmo, ho imparato a dormire per terra, ho imparato a vivere dentro una chiesa e a considerarla casa, vivendo la sacralità delle persone e non degli oggetti, ho imparato ad accettare senza discutere troppo, a volte non è proprio il caso, ma soprattutto sto imparando ad avere nuovi "occhi" e sto imparando a sedermi accanto agli altri.



Cartoline della Comunità Trindade:











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